10 Dicembre 2021

L’odio non è di classe

L’odio non è di classe

E dopo tantissima attesa, finalmente, a ottobre, sono riuscito ad attivare un workshop sull’hate speech in 5 classi di diverse scuole superiori di Palermo e provincia. 

Come prima cosa occorre che io sia onesto con chi mi legge, così come lo sono stato con i ragazzi e le ragazze che ho incontrato e sto ancora incontrando: ammetto che nella fase in cui ho ideato il percorso avevo immaginato che l’obiettivo principale sarebbe stato quello di lavorare sui pregiudizi e gli stereotipi dei partecipanti, quindi smontarli e successivamente ideare, insieme a loro, delle azioni di contrasto. Ma sono stato totalmente spiazzato! Volevo lavorare sui pregiudizi altrui e mi sono ritrovato a lavorare sui miei, cosa che, tra parentesi mi ha fatto piacere, e che come attivista a difesa dei Diritti Umani, prima ancora che come educatore, mi lascia sperare per il futuro in una società Italiana più democratica e rispettosa dei diritti di tutte le minoranze.

La “scoperta”, se ancora non si fosse capito, è che tra gli oltre cento studenti e studentesse incontrat* non ho riscontrato, se non in un solo caso (nei confronti dei Rom), nessun tipo di ostilità, di rigidità e pregiudizi negativi nei confronti della diversità.

A questo punto, oltre a mettere in discussione la prospettiva del percorso immaginato all’inizio, è scattata la curiosità di saperne di più. La prima domanda che mi sono posto e che ho posto ai gruppi è stata: i vostri genitori e i vostri nonni come la pensano? E, come prevedibile, si è aperto un mondo. La maggioranza delle generazioni precedenti continua ad avere pregiudizi negativi su gruppi della popolazione che vanno oltre la cosiddetta normalità. La domanda successiva che ho posto è stata: perché? A questa domanda abbiamo dato tre risposte, che secondo me possono essere considerate le ragioni di base su questo divario tra le visioni presenti nelle diverse generazioni. 

Prima causa: i giovani non usano Facebook. In pochi hanno un profilo ed in pochissimi lo utilizzano, cosa che fanno le generazioni precedenti. A tal proposito riporto alla lettera ciò che ha detto una dei partecipanti “mio padre e mia madre pubblicano post di cui mi vergogno”. I ragazzi e le ragazze sono per lo più presenti su Istagram, dove il discorso d’odio è praticamente assente se non sotto forma di body shaming (parole offensive legate all’aspetto fisico), tant’è che c’è una correlazione significativa tra la nascita di questo social e l’aumento dei suicidi tra le ragazze adolescenti e preadolescenti (per chi volesse approfondire raccomando la visione della docufiction “The social Dilemma”). In effetti, per esperienza personale, che molti utenti di Facebook possono confermare, l’hate speech su questo social non è un evento raro.

Seconda causa: l’esperienza diretta. Le giovani generazioni, libere dai pregiudizi e dagli stereotipi delle vecchie, e immerse in una società che diventa sempre più multiculturale, hanno sempre più la possibilità di confrontarsi con la diversità: compagni di classe e/o amici di origine straniera, del mondo LGBT, con disabità etc. Cosa che per le vecchie generazioni è più difficile.

Terza causa: i cambiamenti culturali necessitano tempo, ciò che nel passato era considerato giusto e morale oggi non lo è più, e viceversa. Si pensi ai diritti delle donne. Il suffragio universale arriva dopo la seconda guerra mondiale, lo stesso vale per la legge contro il matrimonio riparatore o per il delitto d’onore. I diritti di libertà individuale si affermano man mano che maturano le democrazie. E questo richiede tempo, non basta una legge a cambiare un atteggiamento mentale.

In conclusione, pensavo di incontrare degli utenti (parola che non amo particolarmente ma che uso per rendere l’idea) ho trovato degli alleati che hanno voglia di attivarsi per contrastare il discorso d’odio. Gli ultimi incontri nelle classi nei quali ho chiesto ai ragazzi ed alle ragazze di ideare delle azioni di contrasto sono stati un fiorire di idee e un’esplosione di energia creativa: fumetti, libri, vignette, poesie, canzoni, pagine sui social, articoli, interviste, cortometraggi queste le azioni che hanno immaginato e che realizzeranno contro il discorso d’odio. Curioso di vedere quale saranno i risultati anche se, da educatore, la cosa che mi interessa è il percorso fatto con i ragazzi, il processo educativo più che il prodotto finale. 

Le lacrime finali di alcuni, alla fine del percorso, sono i riconoscimenti più importanti per chi, come me, fa questo lavoro.

Giuseppe Candolfo   

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IL DIRITTO DI FARE SCHIFO Michela Giraud è autrice, attrice, comica. Nel suo percorso professionale si è occupata di teatro, cinema, televisione e radio.